Senza pensare…

Qui. E tu chissà… Immagino. Pensieri fissi. Credo di avere imparato a scacciarli. A cambiarli no. Ritornano. Non li guardo. Come gli accattoni ai semafori. Occhi altrove. Forse passano. Ma tornano. Paraocchi… se guardi avanti non li vedi. E allora guardo avanti ma davanti vedo solo strada. E semafori. E ad ogni semaforo ancora mani tese… quando arriva il verde? Le labbra piegate verso il basso, raccontano un dolore che non scompare. Come si fa smettere di cercarti in ogni cosa? Come si fa a non sperare che dopo il dosso, finalmente eccoti? Silenzi. Attesa. Soprattutto l’attesa dell’alba, quando non sarete più insieme. Per poche ore, certo, ma meglio che niente. Servono per respirare. Riprendere fiato. Ma que sabati… quelle interminabili domeniche… Troppo lunghi per non pensare mai, come fossi un automa, come andare su due binari dritti, e ad ogni stazione il vostro manifesto… Non finirà dunque mai? Come potrebbe, dopo avere amato i tuoi occhi, avere assaggiato la tua carne, avere avuto le chiavi di casa e avere camminato tra i tuoi pensieri, dopo esserci entrato ed essere diventato Te. Non si può uscire da se stessi. Come fingere che tu non sia esistita mai, che tu non sia mai stata neppure viva? Anche se fosse vero, lo saresti comunque qui, nel mio stomaco. E se ti ho inventata così bene, allora adesso perché non ti muovi? Perché mai non parli? E io come posso provare interesse per qualunque altra inutile cosa? Ovunque io sia o provi ad essere, tu ci sei. Il mio metro di misura. Ma niente ti assomiglia. Così, non ti trovo da nessuna parte. E continuo a cercarti, anche se poi lo so dove sei, solo che non ci posso venire: c’è qualcun altro al posto mio. La mia sedia, il mio lato del letto, la mia presa usb… Cristo santo, come è stato possibile? Come si cambia un odore con un altro? Io non posso infrangere il giuramento silenzioso, il patto non scritto. Ancora adesso, se lo facessi, penserei di tradirti. Ma tu mi pensi ogni tanto? Io sempre… non smetto mai. Si può tornare indietro dopo essere andati così lontano? Forse sì. Ma bisogna che io resti fermo nello stesso punto ad aspettare. Senza pensare…

Il piacere di essere un lettore (anonimo)

Libro Cuore Piacere lettura

All’inizio c’è un pomeriggio grigio come tanti altri, trascinato nell’inerzia colpevole di abdicare ai propri doveri di studio, ricerca, analisi e produzione di materiale intellettuale inedito, dotato di una certa originalità contenutistica e competenza in materia.

Il senso critico che dovrebbe accompagnare questa operazione molto seria si è annacquato nel the delle cinque passate, abbandonato a poco meno di tre dita dalla fine, nel momento in cui è diventato impossibile evitare i fiori di lavanda e sambuco galleggianti con tutta la loro segreta promessa di energia e felicità ritrovate. Fuori i lampioni grondano pioggia e nebbia: scene da un raining day londinese, sennonché siamo in una piccola via a traffico limitato a Bologna, in novembre.

Ho intorno a me una natura morta di libri, computer, fotocopie martoriate di sottolineature variopinte che chiede di essere agita in qualche modo e non contemplata con esitazione, sospetto, confusione, a seconda dello stato d’animo del momento.

Improvvisamente risale alla memoria un appunto mentale preso la settimana scorsa, sulla presentazione dell’ultimo libro del Tale Scrittore alla Tale Libreria. Scrittore che è proprio scrittore di professione e non giornalista, professore, istrione televisivo, artigiano editoriale, dispensatore di cesellati pareri dalle pagine dei quotidiani, né un ibrido colluso col mondo cinematografico (non più, almeno). E questa sarebbe una ragione sufficiente, di andare a rendere omaggio a chi riesce a vivere di sola scrittura, tenendosi degnamente sulla linea di confine tra letteratura e romanzo di consumo. Senza  contare il peso romantico della nostalgia di aver letto e amato alcuni dei suoi libri più riusciti, in un tempo in cui non mi aspettavo che sui libri ci fosse necessariamente da dire qualcosa di più di quello che portavano scritto dentro.

Il freddo che immagino imperversare dietro i vetri basterebbe a intridermi le ossa e congelare istantaneamente ogni proposito di movimento, ma in un rigurgito di intraprendenza mi viene in mente che, se la mattina ci laviamo la faccia con l’acqua fredda, per riappropriarci della dose minima di vitalità necessaria a iniziare la giornata, uscire nel freddo potrà strapparmi alla letargia di questo pomeriggio improduttivo.

Posso così assolvermi e dare un senso alla giornata, calandomi idealmente nelle vesti di – ho l’imbarazzo della scelta – aspirante critica letteraria, giornalista mancata, pseudo scrittrice in erba desiderosa di illuminazioni sulla via della narratività e di modelli da emulare, lettrice spasimante, in una climax che rapidamente mi ridimensiona alla giusta statura della mia  indolenza e sfiducia nelle mie potenzialità.

Mi vesto con la velocità massima atta a passare dalla sciatteria domestica a una decorosa presentabilità ed esco, perché sono già in ritardo. E infatti arrivo che tutti sono già accomodati e lo Scrittore sta già parlando della fatica dello scrivere e dello stupore della creazione.  Ma la sofferenza della gestazione è compensata dalla sorpresa di avere tra le mani il prodotto della propria fantasia, sempre diverso da come lo si era immaginato e, quindi, nuovo, mentre le smanie per la coerenza  e verisimiglianza dei personaggi sono ripagate dal divertimento di ritrovare in essi qualcosa di se stessi o di ciò che si sarebbe potuto essere.

Quando, con repentino scatto egoista riesco a conquistare una seggiola – non siamo in autobus, del resto! – lo Scrittore inizia a leggere estratti dal ponderoso romanzo: seduta sul morbido, avvolta dal caldo, la sensazione da “fiaba davanti al caminetto” è raggiunta. Posso dondolarmi in un questo incantamento per almeno venti minuti, prima che la riemersione alla realtà mi attanagli con il dubbio tipico di questo genere di eventi, quello se cedere al fascino del feticcio o abbarbicarsi virtualmente agli scaffali della propria libreria con tutti i libri intonsi che già aspettano da tempo di essere letti, e pazienza se non hanno nemmeno uno straccio di autografo per farsi belli! Inoltre, c’è tutta una serie di considerazioni molto spicciole da fare.

Un libro costa molto, un libro appena uscito costa moltissimo. Anche con lo sconto-strizzatina d’occhio del 25%, costa comunque una cifra sensibile. Così devi proprio averne voglia, devi superare il pudore della parsimonia, la pigrizia del portafoglio, una pigrizia di natura molto pragmatica, nata direttamente dall’istinto di conservazione del tuo menage mono-familiare di borsista universitaria sconcertata dall’imminenza dei trent’anni.

A riprova del fatto che, nell’acquisto di un libro, il dato economico non è da sottovalutare, un ragazzo fermo accanto a me ha appena deciso di privarsi dell’ultima uscita del suo scrittore preferito – probabilmente aspetterà l’edizione economica – e si avvia verso la riscossione del suo souvenir d’écriture con un semplice foglietto in mano. Io mi rigiro il librone tra le mani e decido una volta per tutte che lo leggerò per il nobile scopo di verificare se i propositi di sperimentazione linguistica e coralità sono stati effettivamente raggiunti dall’autore. Lo compro.

Sono la penultima della fila, ho tempo di trepidare e pensare. A domande, elogi, qualcosa da dire. Potrei uscirmene con un giudizio folgorante sulla sua produzione letteraria, palesargli remissivamente le mie velleità artistiche, complimentarmi in modo forbito. Oppure chiedergli come si fa a tenersi stretto un numero cospicuo di lettori in un mondo che brulica di aspiranti scrittori, chiedergli quale forma di disciplina interiore ci si impone per arrivare alla fine di un romanzo.

Gli porgo la mia copia, dico il mio nome, scarabocchia una sigla, me la rende. Sorrido, dico:

– Grazie.

La pigrizia della timidezza è la più difficile da superare.

Rossella Di Berardo

Il pareggio di bilancia

Colussi Lombardo Valori Nutrizionali

Oggi parliamo di un gravissimo attentato alle nostre velleità di raggiungimento del peso forma. Chiunque abbia problemi di peso, vuoi per sedentarietà, vuoi a causa di papille gustative eccessivamente sviluppate, vuoi per colpa di livelli ormonali equilibrati come l’umore di un adolescente, ha familiarità con etichette come quella di cui sopra, che illustrano i valori nutrienti del cibo che, disgraziatamente, ci apprestiamo a introiettare nei nostri tessuti adiposi.

Sulla base di questi nutrienti, facciamo calcoli complessi, mediante alambicchi tipici del terzo millennio come bilancini digitali e app che gestiscono la nostra dieta, e calcoliamo con la precisione di un alchimista le successive porzioni di cibo che l’infausta, infelice giornata potrà ancora riservarci, senza violare i parametri UE e senza sforare il pareggio di bilancio. Anzi: di bilancia.

L’immagine che vedete sopra riguarda proprio l’etichetta di un prodotto da prima colazione: i biscotti Colussi Lombardo, che competono nella categoria degli Oro Saiwa e di altre prelibatezze da vorrei-ma-non-posso. Se li mangiate, di solito (a meno che non abbiate una particolare ossessione per i biscotti secchi) è perché per voi le calorie contano. Cento calorie in più, a fine giornata, fanno la differenza tra il potersi permettere un microgrammo di panettone, coltivando l’illusione che in fondo siete come tutti gli altri, e andare invece a letto fingendo indifferenza, con lo stesso disprezzo del cibo di un anacoreta, o più probabilmente con lo sguardo della volpe che disdegna l’uva e chi se ne ciba fino a satollarsi.

Così inserite nella vostra app (tipo, così a caso, MyFitnessPal) i valori nutrienti riportati per singolo biscotto. Ne avete mangiati 5 e dunque il conto è presto fatto: grassi saturi e insaturi a parte, siamo sulle 130 Kcal. Bene, dite voi. Ma siccome siete tipicamente dei disturbati mentali, vi accorgete che i valori dei carboidrati, degli zuccheri, del sodio e di altri dati di cui non potete assolutamente fare a meno non vengono calcolati bene se inseriti per singolo biscotto, perché il software arrotonda per difetto e dunque resta tutto a zero. Assolutamente intollerabile! Per fortuna, oltre alla colonna che riporta i nutrienti per singolo biscotto, c’è anche quella che si rifà alla razione standard da 100g. Così inserite nella vostra appa il nuovo cibo, basandovi sui nuovi valori di fibre, proteine, lipidi, che al confronto il piccolo chimico vi fa un baffo. Avendo ora, però, le dosi rapportate alla razione di 100 grammi, dovete ben sapere quanti grammi di biscotti avete mangiato (non basta più dire che erano genericamente 5). Così pesate il vostro biscotto sul vostro super bilancino ultra-preciso, pagato una fortuna, che manco al Cern di Ginevra, con i microscopi elettronici, riescono a raggiungere tutte quelle cifre decimali.

E’ adesso che il vostro mondo va in pezzi. Già, perché scoprite che un singolo biscotto pesa 6.6 grammi o giù di lì. Il che, moltiplicato per 5 (e per sicurezza, non credendo ai vostri occhi, ne pesate cinque tutti insieme, sostituendoli più volte per accertarvi che non vi siano biscotti difettosi nel campione), fa circa 33 grammi. Cosa non torna? Semplice: se calcolate il numero di calorie basandovi sulla razione di 100 grammi (440 Kcal) e ne ricavate il valore relativo a quella sporca cinquina di biscotti, ottenete 145,2 kcal (440:100 x 33). Con orrore, vi accorgete che la razione dichiarata, come da tabellina, e ricavata dalla colonnina dei valori per singolo biscotto, differisce per difetto, e anche notevolmente: 26 x 5 = 130 kcal!

Attentato! Stavate segnando 130 kcal invece di 145,2. Significa che avete ingurgitato oltre 15 kcal in più rispetto a quelle che credevate, ovvero 106,4 kcal in più a settimana: 471,2 al mese, 5654,4 kcal all’anno! Significano cinque o sei pizze che avreste potuto permettervi, scegliendo un altro biscotto, e che invece avete rifiutato sdegnosamente. Oppure, ancor peggio, significa che ha ragione l’ago della vostra bilancia, e non la vostra app: quegli etti di troppo che tanto vi rattristano quando salite sul piatto della tortura non sono frutto delle batterie scariche, ormai da sostituire, né di un difetto dell’apparecchio, né del fatto che la vostra vescica conservi preziosamente parte del vostro liquame giallo oro, o che il vostro colon non abbia ancora evacuato il suo contenuto nell’ultimo modello di water pesa escrementi (esistono, sapevatelo). No: ha ragione la bilancia, e torto voi. E tutto perché vi siete fidati di un’etichetta.

Non sapremo mai se la colonna giusta è quella che riporta i valori energetici e nutrizionali per 100 grammi, oppure se è quella che li riporta per singolo biscotto. Sta di fatto che la cosa risulta incresciosa e alimenta il sospetto che la concorrenza si giochi anche su questi piccoli dettagli: quando la casalinga di Voghera (o il manager super attento alla linea) scelgono dagli scaffali dei supermercati i loro biscotti preferiti per la prima colazione, per comodità vanno subito alla colonnina dei valori calcolati per singolo biscotto (chi, infatti, la mattina si mette a pesare i biscotti anziché contarli, se non chi è all’ultimo stadio dell’ossessione alimentare?): leggere 26 anziché 29 può fare la differenza tra comprare i biscotti secchi di una marca anziché di un’altra.

Ma certo, potrebbe anche essere sballato il bilancino superpreciso del Cern. Si attendono vostri riscontri rigorosi, da effettuarsi nel vostro laboratorio fisico-nucleare di fiducia. Ma non ditelo allo psicoterapeuta che vi segue: potrebbe aumentarvi la dose di Prozac.

da: Il pareggio di bilancia

Immortali e meravigliosi

Vita movimentata la mia, ricca di esperienze, molte volte devastanti. A volte non mi rendo neanche conto di quante cose so fare, non ci penso mi vengono spontanee. L’errore più grande che ho fatto è stato pensare che “se capivo io, avrebbero capito tutti “. Ora so che non è proprio cosi… Ognuno ha il suo livello, ognuno la propria esperienza, ognuno fa le proprie scelte .

Sorrido, quando penso che siamo stati castigati al massimo con “ IL LIBERO ARBITRIO”. La prima  “parolina” che ho detto è “perché “, e la mia vita ha cominciato a prendere forma. Sincerità, giustizia,volontà, sono i miei ideali. Provate ad immaginare come si può vivere così in questo mondo o forse lo sapete già. Ho raccolto delusioni, dolore, rabbia. In famiglia, nel lavoro, nell’amore, nell’amicizia. Ero sempre in guerra, non venivo mai scelta, aggressiva per difesa e con il cuore a pezzi. Volevo solo essere amata come tutti, cosa avevo di sbagliato? Così cominciano la frustrazione, l’insicurezza, la paura. Ti arrabbi con DIO. “ Sono nata solo per soffrire?”. Il corpo di conseguenza si trasforma, compaiono sintomi, malattie, che viviamo poi come un secondo castigo.

Il mio “ perché” mi ha salvata. Sono andata a cercare, volevo capire, volevo delle risposte. L’universo ha ascoltato le mie preghiere, e nella mia vita sono apparse varie persone capaci e di spessore, ognuna con la propria ricchezza, esperienza e sapienza. Ho raccolto, imparato, ho curato il corpo, ma non era ancora abbastanza. Mente, corpo  e spirito, il tre che diventa uno e cioè L’ESSERE..

Ecco che un giorno di sei anni fa appare sul mio cammino quest’uomo: L’alchimista. Penso al classico “ciarlatano “ prima, brasiliano poi, sembrava cosa già definita e mi documento nel suo passato per trovare il difetto. Invece mi sono trovata davanti un uomo straordinario, un insegnate incredibile, una sapienza oserei dire a volte non di questo mondo. Ho cominciato a studiare con lui partendo dall’inizio : “ Sia fatta luce, e luce si fece “.

L’alchimia, la madre da dove tutto è cominciato, dove niente è escluso: si studia tutto. Nulla di incomprensibile, credetemi, io ho fatto solo la terza media. Impegnativo sicuramente, ma entusiasmante! Alchimia è la traduzione di “SOLVET E COAGULA”, che significa dissolvi e ricomponi.

Mi permetto di fare una citazione. Uno tra gli alchimisti più famosi è NICOLAS FLAMEL, al quale è stata accreditata la scoperta della  PIETRA FILOSOFALE, che consisteva nell’aver trovato la formula chimica di trasformare il piombo in oro. Questo perché alla sua morte aveva lasciato un’enorme eredità, e lui era solo un semplice scrivano.

La verità è che trasformare il piombo in oro è la sfida di tutti noi. Veniamo al mondo per evolvere, la vita ha le sue sfide e dobbiamo imparare ad affrontarle nel modo giusto, sapendo chi siamo e come siamo fatti, di cosa disponiamo e soprattutto cosa siamo venuti a fare qui. La vera pietra filosofale è il diamante perfetto che ogni essere deve diventare. Non sono esente da nulla anche sapendo, ma ora conosco la luce che mi appartiene, imparo dalla natura che mi circonda e sono grata di questa opportunità. L’alchimista mi ha donato un mazzo di chiavi e una alla volta ho aperto le porte del mio essere. Siamo un microcosmo nel macrocosmo, come è sopra è sotto…

Allora facciamo luce tutti insieme: niente più buio, perché siamo figli di Dio qualunque nome porti. Immortali e meravigliosi.

Barbara Tinello

Appello ai giornalisti: siate liberi

L’Articolo 21 della Costituzione Italiana recita:

“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure“.

Credo fermamente che la stampa, come intesa nella Costituzione, sia garanzia assoluta di liberta’, in quanto voce imparziale e libera non soggetta alle influenze del potere espresso in qualsivoglia forma che sia politica, economica o finanziaria. La stampa deve essere il Guardiano della Democrazia, il Paladino della Verita’.

Due citazioni interessanti sull’argomento, che mantengo in lingua originale per non sminuirne la forza:

“There is room in this great and growing city for a journal that is not only cheap but bright, not only bright but large, not only large but truly democratic–dedicated to the cause of the people rather than that of the purse potentates–devoted more to the news of the New than the Old World–that will expose all fraud and sham, fight all public evils and abuses–that will sever and battle for the people with earnest sincerity.” [Joseph Pulitzer, May 1883, New York World]

“The basis of our governments being the opinion of the people, the very first object should be to keep that right; and were it left to me to decide whether we should have a government without newspapers or newspapers without a government, I should not hesitate a moment to prefer the latter.” [Thomas Jefferson, Letter to Edward Carrington, 1787]

L’Europa sta attraversando una crisi senza precedenti, causata non da stati accusati di essere poco produttivi o dalla politica di altri accusata di essere inadeguata o spendacciona, e neppure dai cittadini di altri stati, accusati di essere ladri o evasori. Lo scopo di questa lettera aperta non e’ quello di spiegare quali siano le vere cause e i veri fautori di questa crisi e come la politica compromessa e disgustosamente suddita stia silenziosamente spalancando le porte ai suddetti fautori e facilitando le loro azioni, che porteranno ad un vero disastro economico per decine e centinaia di migliaia di famiglie e di risparmiatori. Voi sapete benissimo di cosa sto parlando e se non lo sapete non dovreste essere giornalisti e dovreste cambiare mestiere. Voi sapete benissimo che la politica di risanamento, rigore ed austerity di cui parlano i leaders europei e il nostro Presidente del Consiglio non eletto Mario Monti non portera’ al rilancio dell’economia e neppure all’uscita dalla crisi. Voi sapete benissimo chi sono gli artefici di questa crisi e quali sono i loro piani. Se non sapete queste cose, ripeto, non dovreste fare il mestiere che fate.

Lo scopo di questa lettera e’ quello di lanciare un appello a voi, ultimi Paladini della Verita’ e Guardiani della Democrazia in questo oceano di politici sudditi e venduti che stanno per consegnare la sovranita’ del Popolo Italiano nelle mani di organismi esterni alla nostra democrazia. Siate liberi. Non consentite che cio’ accada.

Antonio Bassi

Philofobia, la paura di amare

Philofobia, la paura di amare

Amare è come specchiarsi nel riflesso di noi stessi attraverso l’altro.

La paura ci rende soli. E la paura d’amare è una prigione di scuse che costruiamo spesso involontariamente. Per difenderci. Prima di essere delusi o dopo aver subito un colpo a fondo.
Un meccanismo di protezione che spesso si rivela essere più dannoso di quello da cui dovrebbe salvare: esteriormente vestiti di gelo e indifferenza, neghiamo, nascondendolo, quel brillìo umano dell’avere bisogno di amare ed essere amati.

Serpeggia fra la gente di ogni età, si nutre del cinismo, della fretta, senza notare i dettagli, le espressioni. Alimenta i pensieri negativi :”L’amore non esiste”.

L’amore viene negato con la paura.

Viky Keller

La malattia gentile

La malattia gentile

di Jacopo Cioni

Il cancro è una malattia gentile, poco invadente, ti comunica la sua presenza con garbo, quasi con lucida incoscienza. Si sistema li accanto a te, spesso tace, è un compagno muto, tanto rispettoso da farti credere che non esista. Solo in alcuni momenti, quando sei spensierato, quando sorridi alla vita, ti fa capire che c’è, che è li con te, che non è andato via.

E allora lucidamente lo accetti, mentendo, cercando di ingannarlo come lui inganna te. In fondo è una buona malattia, ti permette di renderti conto, di prendere coscienza, quando ti illudi troppo ti richiama. Piano piano ti porta ad abbandonare la speranza, ma non con cattiveria: in fondo si prende solo lo spazio che gli serve. Non ti uccide velocemente, non come altre malattie; permette a chi resta di spalmare il dolore nel tempo, ti sottrae l’amore con delicatezza, con mano leggera. In fondo, ti fa capire il “come“, e spesso anche il “quando“.  E’ così generoso da non lasciarti perso nello sconforto puro, ma si prende quel che gli spetta un pezzettino alla volta, in un continuo rincorrersi di piccoli avvertimenti.

In fondo fa solamente il suo lavoro: ti sottrae alla vita con leggera paura e tanta malinconia.

Volevo solo essere amata

Gabry

 Mi chiamo Gabry e, poco più di due anni fa, ho subito una mastectomia a causa di un brutto cancro al seno. Non sono più giovane ma amo la vita ed anche la vita ama me. Questo però l’ho capito soltanto dopo aver passato questa dolorosa esperienza. Sono sempre stata una donna molto attiva. Mi sembrava che lasciarmi andare al dolce far niente potesse in qualche modo sminuire la considerazione che avevo di me e pensavo di poter deludere coloro che da me si aspettavano sempre qualcosa. Ho sbagliato, ora so che ho sbagliato a non dare ascolto ai segnali che inutilmente il mio corpo mi inviava. Io dovevo essere forte, quella donna forte che aveva superato tante difficoltà ed era uscita a testa alta da situazioni difficili, ma così facendo non davo ascoltato a quella piccola donna fragile che ancora, dentro di me, insisteva a mandarmi segnali, che voleva essere presa in considerazione per se stessa e non per quello che dava, che voleva essere amata per le sue intrinseche qualità e non per la continua disponibilità che dava a chiunque chiedesse il suo aiuto. Io pensavo che, se non avessi fatto quello che gli altri si aspettavano da me, non sarei stata amata. Pensavo di non valere abbastanza per essere amata, mentre io volevo disperatamente essere amata.

 Non sono mai stata abbastanza carina da essere amata per le mie doti fisiche, però sapevo di essere simpatica, dolce ed anche determinata, gioiosa, ottimista e generosa. Ho coltivato le doti che sapevo di avere, ho approfondito passioni culturali che mi hanno permesso di poter parlare con chiunque senza fare figuracce, ma anche di saper tacere quando non avevo nulla da dire. Ho coltivato la spiritualità, ho trovato la strada giusta per amare Dio, ma non mi sono mai amata abbastanza e per questo ho capito di non aver mai amato abbastanza neanche Dio. Però ho sempre avuto fede, e questa mi ha aiutato molto nel momento più difficile, quello che si è presentato con quella malattia che tanta paura fa a tutti.

 Io adesso ringrazio quella malattia. La ringrazio per avermi fatto scoprire che, a differenza di quel che pensavo, avevo molto amore intorno a me. Solo, non l’avevo mai percepito. Nel momento del dolore ho sentito tanto calore umano, tanta amicizia, tanta solidarietà. Ringrazio quella malattia che mi ha fatto sentire così vicino l’amore di Dio, tanto da percepirlo fisicamente, quella malattia che mi ha fatto capire i miei limiti, che mi ha insegnato che io devo amarmi se voglio essere amata e che mi ha permesso di diventare anche più tollerante e comprensiva verso gli altri. Posso dare questo consiglio a tutti coloro che vogliono recepirlo: non abusate mai di voi stessi, ascoltate il vostro corpo e date più spazio al vostro cuore.

 Con amore. Gabry.

L’amore liquido

Amore liquido

di Paolo Becchi

Il matrimonio è un’istituzione importante, ma non bisogna farne una gabbia d’acciaio. Vivere insieme una vita intera non è certo facile, comporta anzi grossi sacrifici e pertanto “un tuffo dove l’acqua è più blu” dovrebbe essere perdonabile. Ciò che conta nel matrimonio è la capacità di stare insieme rispettando l’impegno originariamente preso. Le infedeltà occasionali sono certo dei falli, ma l’importante è arrivare alla fine della partita.

Il matrimonio è un cocktail dove serve un terzo d’amore, un terzo di sesso e un terzo di desiderio di procreare, poi occorre mischiare bene il tutto e ci vuole anche un po’di fortuna, perché trovare il giusto equilibrio fra i tre elementi non è certo una cosa semplice. A volte ti esce un Bellini fiacco fiacco, a volte un Negroni che ti stende. L’importante è che alla fine sia comunque bevibile.

Del resto la cosa più sorprendente del Cristianesimo delle origini è un fatto sul quale, forse, non si è riflettuto ancora abbastanza. Gesù risorto si mostra per primo ad una donna ma, contrariamente a quello che ci si sarebbe potuti aspettare,non a sua madre, la Vergine Maria, ma a una prostituta, Maddalena. È a Maddalena che chiede di diffondere il messaggio della sua resurrezione. Una donna con un passato poco onorevole sta all’origine del mistero della resurrezione.

La Chiesa in fondo sbaglia nella sua totale chiusura nei confronti delle questioni calde della morale sessuale (uso degli anticoncezionali, negazione dei sacramenti ai divorziati, ecc.). Questa mancanza di comprensione non fa altro che provocare l’allontanamento di molti fedeli. Bisognerebbe ritornare a guardare al sesso e all’amore come Gesù guardava Maria Maddalena. Secondo me l’istituzione del
matrimonio resta uno degli elementi fondamentali della convivenza sociale.

Come detto il matrimonio cerca di tenere insieme fondamentalmente tre cose: amore, sesso e figli. Innamoramento e soprattutto sesso passano in fretta, i figli restano. Sono loro l’amore divenuto visibile, ma ci vuole del tempo per farli e crescerli. Ci vuole soprattutto la solidità di un rapporto. Nella società liquida è
diventato anche liquido l’amore, ecco perché i matrimoni sono oggi in crisi.
Eppure vale la pena di puntare sul matrimonio, senza farsi troppe illusioni
sulla fedeltà assoluta. Bisognerebbe superare in qualche modo i seguenti aut aut: andare a letto con qualcuno con cui non sei sposato significa rovinare per sempre un matrimonio e rimanere fedeli al vincolo matrimoniale significa precludersi
quel caos amoroso di cui ogni tanto abbiamo bisogno.

Chissà che qualche volta non ci si riesca …